MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
I maltrattamenti in famiglia nei confronti del coniuge, dei figli o del convivente, costituiscono reati puniti in modo severo.
Si verifica tale forma di reato nel caso in cui si procurino lesioni o, comunque, si agisca violentemente nei confronti dei suddetti componenti della famiglia.
Pertanto, non occorre che i maltrattamenti in famiglia consistano in percosse o lesioni. In altre parole, non è indispensabile che la persona violenta alzi le mani nei confronti dei suoi familiari in quanto possono rientrare in questa ipotesi di reato tutti i fatti che producono sofferenze, oltre che fisiche anche morali.
Possono, dunque, considerarsi come maltrattamenti in famiglia anche le continue offese o umiliazioni che un coniuge rivolge all’altro, riservando ad esso un comportamento ostile, offensivo e irriguardoso.
Secondo l’art. 572 del Codice penale, chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Al fine di tutelare l'integrità psico-fisica di persone facenti parte di contesti familiari o para-familiari, la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi.
Infine, il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.
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